Onorevoli Colleghi! - Con un recente provvedimento legislativo è stata risolta qualche questione concernente la giustizia e i giudici tributari (legge 2 dicembre 2005, n. 248, articolo 3-bis). Sono state, però, ignorate, o comunque non sono state risolte, tante questioni (prevalentemente ordinamentali o procedurali, ma anche di natura finanziaria) per le quali erano e sono urgenti giuste soluzioni, necessarie per una giustizia tributaria più efficace e di più alto livello.
      Per contribuire al miglioramento della giustizia tributaria e alla razionalizzazione dell'impiego dei giudici tributari, per superare il sistema fondato sulla retribuzione «a cottimo», incompatibile con qualsiasi funzione giurisdizionale, e per rimuovere una ingiustificata disparità di trattamento a danno dei giudici tributari, si propone:

          1) l'introduzione del giudice unico per il giudizio di primo grado per le cause di modesto valore e l'adeguamento del numero delle sezioni delle commissioni tributarie (e dei giudici tributari) alle reali esigenze della giustizia tributaria;

          2) il superamento della retribuzione «a cottimo» e l'estensione ai giudici tributari della cosiddetta «indennità giudiziaria»;

          3) il rinnovo dell'organo di governo (consiglio di presidenza della giustizia tributaria) mediante elezioni, riconducendo tale rinnovo alle normali scadenze.

      Con l'articolo 1 della presente proposta di legge si propone di introdurre il giudice unico nel primo grado del processo tributario, sia pure soltanto per le cause di modesto valore.
      La giurisdizione ordinaria, sia in materia civile sia in materia penale, specialmente in primo grado, è caratterizzata dalla presenza del giudice unico o singolo. In materia penale un giudice «singolo»

 

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può infliggere condanne fino a trenta anni di reclusione!
      La giurisdizione tributaria, che non ha mai per oggetto la libertà dei singoli, invece, è ancora - anacronisticamente - caratterizzata dalla presenza del giudice collegiale che, per cause di modesto valore (ad esempio inferiore a 10.000 o a 15.000 euro) e specialmente nel primo grado del giudizio, appare eccessiva e inutilmente dispendiosa.
      Peraltro la giurisdizione tributaria, sia pure in via transitoria, con l'articolo 32 della legge 8 maggio 1998, n. 146, ha già conosciuto - e con buoni risultati - la figura del giudice unico.
      Si propone, pertanto, di rendere permanente e definitiva la figura del giudice unico anche nella giurisdizione tributaria, uniformandola alla giurisdizione ordinaria e prevedendo che le funzioni di giudice unico possano essere svolte dai giudici tributari.
      Con l'articolo 2 si propone di disporre l'adeguamento del numero delle sezioni delle commissioni tributarie e del numero dei giudici tributari - adeguamento che dovrebbe essere eseguito in tempi brevi dallo stesso organo di governo dei giudici tributari - alle reali e mutevoli esigenze della giustizia tributaria.
      Il numero dei giudici tributari (attualmente sono oltre 5.000 quelli in servizio) è eccessivo rispetto alle reali esigenze della giustizia tributaria. Per espressa disposizione di legge «Ciascun collegio giudicante - e quindi ogni giudice deve [o dovrebbe] tenere udienza almeno una volta alla settimana» (articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545). Invece, per il modesto numero di ricorsi da decidere e per l'elevato numero di giudici in servizio, mediamente, ogni giudice partecipa (può partecipare) soltanto ad un'udienza al mese (o a non più di dodici udienze all'anno).
      Se i giudici tributari tenessero - così come peraltro prevede la legge - un'udienza alla settimana e se, per il primo grado di giudizio, almeno per le cause di modesto valore (inferiore a 10.000 o a 15.000 euro) venisse introdotto il giudice unico, il numero dei giudici tributari, necessario e sufficiente alle reali esigenze della giustizia tributaria, potrebbe essere congruamente ed opportunamente ridotto (fatta salva comunque la permanenza, eventualmente in posizione soprannumeraria, dei giudici attualmente in servizio) a meno di 1.500 o, al massimo, a 2.000 unità.
      In proporzionale misura potrebbe essere ridotto il numero delle sezioni di ciascuna commissione tributaria.
      Con l'articolo 3 si propone il superamento del «cottimo» e l'estensione ai giudici tributari della cosiddetta «indennità giudiziaria».
      I giudici, tutti i giudici, in base ad un fondamentale principio comunemente condiviso, debbono non solo essere, ma anche apparire, indipendenti, obiettivi ed imparziali.
      I giudici tributari, tuttavia, spesso non possono essere, o almeno non possono apparire, obiettivi ed imparziali in quanto, secondo il disposto di cui all'articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, sono retribuiti a cottimo (un certo compenso per ogni ricorso deciso). La retribuzione «a cottimo» può far sorgere nel giudice un interesse personale, incompatibile con la funzione giurisdizionale.
      I giudici, se retribuiti a cottimo, hanno un interesse personale a decidere nel minor tempo il maggior numero di cause e, pertanto, non possono essere «credibili» quando una delle parti avanza delle istanze o solleva delle eccezioni che fanno ritardare la definizione del giudizio oppure quando l'accoglimento (o il rigetto) di una domanda può favorire la proposizione di altre cause.
      La stessa Corte costituzionale, in una sua non recente sentenza, ha affermato in modo assolutamente chiaro che «Va escluso nel giudice qualsiasi anche indiretto interesse alla causa da decidere, e deve esigersi che la legge garantisca l'assenza di qualsiasi aspettativa di vantaggi, come di timori di alcun pregiudizio, preordinando gli strumenti atti a tutelare
 

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l'obiettività della decisione» (sentenza n. 60 del 27 marzo 1969).
      Ai giudici tributari, in sostituzione del compenso per ogni ricorso deciso, potrebbe e dovrebbe essere corrisposta la cosiddetta «indennità giudiziaria», istituita dalla legge 19 febbraio 1981, n. 27. Inizialmente prevista solo per i magistrati ordinari, successivamente estesa non solo a tutti gli altri magistrati professionali, ma anche ai giudici popolari e al personale delle segreterie delle stesse commissioni tributarie, ma, paradossalmente, non anche ai giudici tributari.
      La mancata attribuzione ai giudici tributari della cosiddetta «indennità giudiziaria» (il cui importo attualmente è di circa 900 euro mensili) è sempre stata, anche sotto l'aspetto costituzionale, di dubbia legittimità e, non a caso, per rimuovere l'ingiustificata disparità di trattamento e per estendere anche ai giudici tributari l'anzidetta indennità, nelle passate legislature e, in particolare, nella XIV legislatura, sono state presentate alcune proposte di legge.
      Con l'articolo 4 si riconosce ai giudici tributari il diritto di rinnovare il loro organo di governo (consiglio di presidenza della giustizia tributaria), la cui naturale scadenza, inizialmente prevista per l'11 marzo 2007, è stata - con una norma di dubbia costituzionalità e fortemente contrastata dai giudici tributari e dalle loro associazioni - successivamente prorogata a tempo indeterminato (mediante l'articolo 18, comma 4-ter, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 273, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 febbraio 2006, n. 51).
      Si deve evidenziare che con l'approvazione della presente proposta di legge non si avrebbe alcun aumento della spesa pubblica, non solo perché molti dei giudici tributari che cesseranno dal servizio non verrebbero sostituiti, ma anche perché la spesa per l'estensione ai giudici della cosiddetta «indennità giudiziaria» troverebbe piena compensazione nella sopressione del «compenso aggiuntivo» previsto dall'attuale comma 2 dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 545 del 1992.
      Per le esposte argomentazioni, si raccomanda la rapida approvazione della presente proposta di legge.
 

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